Statistica

De Cliomatica - Digital History
Tempo di lettura 14 minuti - per Celeste Di Pasquale


Analisi statistica

Cosa è la statistica?

Con il termine statistica si intende una scienza, strumentale ad altre, concernente la determinazione dei metodi scientifici da seguire per raccogliere, elaborare e valutare i dati riguardanti l’essenza di particolari fenomeni collettivi (o fenomeni di massa) [1]. Questa discipina, in particolare la Statistica descrittiva, serve agli storici per descrivere le caratteristiche essenziali dei fenomeni collettivi osservati.

La statistica nasce come attività descrittiva di certi fenomeni sociali e, in particolare, come attività amministrativa dello Stato: infatti il termine "statistica" deriva dal termine "stato", anche se poi ha ampliato il suo campo di applicazione fino a diventare una “scienza del collettivo” [2] , comprendendo cioè tutte le situazioni in cui siano implicati fenomeni collettivi.

Sono considerati fenomeni collettivi quei fenomeni che non posso essere conosciuti con una sola osservazione, ma che, al contrario, possono essere analizzati, descritti e interpretati mediante la sintesi di un elevato numero di osservazioni che riguardano fenomeni più semplici (fenomeni individuali) [3] .

Esempio: il fenomeno della natalità, può essere analizzato solo osservando, contando e raffrontando le singole nascite.

Possiamo, in realtà, distinguere due tipologie di fenomeni collettivi:

  • fenomeni collettivi composti da casi singoli (es. natalità)
  • fenomeni che pur riferendosi a un singolo evento sono considerati collettivi poiché per essere conosciuti e analizzati è necessaria la ripetizione dell’osservazione del fenomeno singolo e la sintesi numerica che si può ottenere dall’insieme di tali osservazioni (esempio: lunghezza di un segmento o massa di un corpo che possono essere determinate solo mediante una serie di misurazioni successive eseguite con lo stesso strumento e dallo stesso ricercatore). [4]

Questa distinzione è importante perché da essa possiamo dedurre una prima differenza tra le scienze sociali (come la storia/storiografia), che si avvalgono della statistica per lo studio di fenomeni collettivi del primo tipo, mentre le scienze sperimentali (come la fisica, la chimica, la biologia ecc.) ricorrono alla statistica per la conoscenza di fenomeni collettivi del secondo tipo.

Nel caso della storia è interessante notare come essa si sia sempre occupata della collettività e, quindi, l’oggetto di studio è lo stesso della statistica, ma che la storia condotta senza questo ausilio si appoggia a una analisi esclusivamente di tipo qualitativo.


Analisi qualitativa e quantitativa

Quando analizziamo i fenomeni siamo abituati ad utilizzare metodi quantitativi per i fenomeni naturali e metodi qualitativi per i fenomeni sociali, instaurando in questo modo una consolidata gerarchia tra questi due tipi di analisi, che attribuisce alla prima una sorta di naturale superiorità verso la seconda.

Nel caso delle scienze naturali l’analisi qualitativa sembra essere priva di dignità scientifica e, talvolta, è vista anche come una volgarizzazione di ciò che dovrebbe essere enunciato in modo formalizzato con dati quantitativi; nelle scienze “umane”, viceversa, l’analisi quantitativa è spesso vista come una riduzione della varietà del reale a pochi parametri misurabili.

Il quantitativo e qualitativo, in realtà, non devono essere visti come due scenari diversi ma approcci diversi allo stesso scenario che possono essere applicati alla stessa ricerca.

Il dialogo tra quantitativo e qualitativo risulta essere più presente di quanto pensiamo in primo luogo poiché i fenomeni qualitativi hanno spesso una manifestazione quantitativa:

Esempio: “Si vive meglio in una grande città” → questa affermazione che potrebbe essere posta in un sondaggio per una ricerca di tipo sociale esprime un concetto qualitativo che però ha bisogno di una complementare chiarezza quantitativa. Le città si misurano anche in numeri (strade, case, persone, edifici, automobili, semafori ecc.), ma il numero non corrisponde alla qualità e, di conseguenza, le grandi città o le piccole città sono diversi tipi di città non solo a livello di variazione numerica. Tra una città di 100.000 abitanti e una di 150.000 non vediamo molte differenze come invece emergono tra città con 50.000 e 500.000 o 5.000.000 abitanti. Le diverse metriche della città producono anche diversi tipi di comportamento o aspettativa di comportamento.

Questo dialogo appare vivo e indispensabile nella statistica e lo è ancora di più nel caso della storia in quanto da un lato la conoscenza della “qualità” di un fenomeno consente di usare correttamente i dati statistici e dall’altro i dati statistici permettono di comprendere meglio la realtà osservata.

Non si tratta, dunque, di trovare una gerarchia tra quale sia l’approccio migliore, ma di coglierne la complementarità e far dialogare questi due approcci.

Vi è, tuttavia, un ampio dibattito accademico sull’uso dei metodi quantitativi per le scienze sociali e, in particolare, per la storia.

La storiografia che si avvale della statistica, come metodo di indagine, è detta storia quantitativa.


Cosa è la storia quantitativa?

Il termine storia quantitativa (quantitative history) viene utilizzato per indicare la corrente storiografica basata su una metodologia che prevede l’utilizzo sistematico di fonti quantitative che forniscono allo storico una quantità notevole di dati tale da poter essere analizzata mediante procedure matematiche, statistiche e informatiche [5].

Inizialmente l’utilizzo di metodi quantitativi per la descrizione di avvenimenti storici e, quindi, la storia quantitativa si è rivolto soprattutto all'analisi di fenomeni economici e soprattutto come strumento di ausilio per rafforzarne l’autorevolezza, ma è negli anni ’50 del secolo scorso che la storia quantitativa tradizionale subì un rinnovamento ad opera della scuola statunitense New economic history, che estendeva il metodo quantitativo alla storia del lavoro e della schiavitù, dell’agricoltura e dei trasporti [6].

Questo approccio venne definito nuova storia economica (dal nome della scuola) ma anche cliometria evidenziando, così, la duplice natura della disciplina in quanto il termine risulta essere l’unione del nome della musa della storia, Clio, e del termine greco métron, “misura”.

La cliometria si pone come obiettivo quello di analizzare i processi storici, economici e sociali misurando nel tempo le grandezze economiche e studiando questi fenomeni attraverso le leggi economiche.

Cliometria: metodologia storica che impiega modelli economici nello studio del passato per studiare, in particolare, lo sviluppo economico [7].

Non è un caso che ci troviamo proprio tra la fine degli anni ’50 e l’inizio del decennio successivo quando gli storici sono interessati al problema dello sviluppo e cercano di rispondere alle domande: quali sono le condizioni di crescita economica? Perché le sue diseguaglianze e le sue tensioni? [8]

Un esempio da questo punto di vista è il lavoro di Robert William Fogel, considerato uno dei padri della cliometria, il quale, per poter comprendere quali fossero stati gli effetti della costruzione delle ferrovie sulla crescita economica degli Stati Uniti, creò un modello controfattuale che ipotizzava uno sviluppo su grande scala alternativo a quello ferroviario della rete dei canali sul territorio americano e dimostrando, mediante l’analisi quantitativa, come la rete ferroviaria fosse più efficiente rispetto a quella dei canali [9].

La metodologia cliometrica è stato oggetto, però, di critiche sia da parte di storici ed economisti.

Le critiche rivolte alla storia quantitativa si basano, in primo luogo, su una argomentazione di natura metodologica-epistemologica. Di fatto coloro che negano la validità della storia quantitativa affermano che, con l’uso del metodo statistico, viene alterato il tradizionale statuto epistemologico della conoscenza storiografica, che è conoscenza degli aspetti qualitativi della realtà.

In realtà, come abbiamo detto sin da subito, l’oggetto di indagine della storia quantitativa risulta essere lo stesso della storia “qualitativa”, in quanto entrambi si occupano dei fenomeni collettivi come, per esempio, gruppi e i comportamenti sociali, le istituzioni politico-amministrative, le attività economiche o anche civili e religiose; ciò che cambia è il modo in cui vengono osservati in quanto nella storia quantitativa i fenomeni collettivi non sono più visti come estensione intuitiva di eventi singoli, ma come somma di una molteplicità di eventi resi omogenei dalle caratteristiche in comune.


Perché è difficile applicare i metodi quantitativi a fenomeni storici?

Le critiche sono legate, spesso, alla natura metodologica e alla tipologia di fonti utilizzate in quanto, da un lato, molte fonti non sono state prodotte per essere correttamente utilizzate dagli strumenti statistici e, da altra parte, le fonti storiche sono spesso incomplete e ambivalenti.

Secondo lo storico polacco Wilton Kula si hanno fondamentalmente tre tipi di fonti per la storia quantitativa:

  • fonti di tipo seriale → raccolte con intento statistico (es. censimenti);
  • fonti di tipo istituzionale relative a fenomeni di massa → documenti predisposti dalle amministrazioni pubbliche (ma anche private) per scopi specifici (es. elenchi di leva), ma resi non del tutto attendibili da fenomeni come, per esempio, la retinenza;
  • fonti relative a fenomeni individuali che si presentano su scala di massa → come, per esempio, i registri parrocchiali che contengono annotazioni su battesimi, morti, matrimoni e che sono stati resi obbligatori dopo il concilio di Trento (1563), ma che sono tutt'altro che sistematici e presentano difficoltà di lettura [10]

Una classificazione differente delle fonti della storia quantitativa è stata, invece, fornita da François Furet il quale distingue le fonti non sulla base della natura e l’origine della fonte stessa, bensì sulla specificità della prospettiva con cui gli storici si propongono di ricavarne dati e informazioni [11]; egli ritiene che una documentazione statistica possa essere utilizzata in “modo sostitutivo”, cioè lo storico non la usa per avere informazioni dirette sugli argomenti che hanno costituito l’oggetto della rilevazione ma per conoscere fenomeni diversi:

Esempio: uso dei registri parrocchiali non per un'indagine sulla natalità ma per comprendere il benessere di una società o l’evoluzione dei costumi sessuali.

Questa idea di Furet risulta interessante in quanto egli in questo modo evidenzia come anche nel caso della storia quantitativa sia fondamentale che lo storico possieda una buona autonomia di giudizio nel valutare la rilevanza delle fonti e nell’interpretarle alla luce degli obiettivi di ricerca.

L’uso di metodi quantitativi non significa che lo storico debba abbandonare del tutto una analisi di tipo tradizionale come, per esempio, accertarsi lo stato di conservazione archivistica e ricondurre le fonti al contesto politico-storico in cui furono prodotte:

Esempio: calcolare la durata media della vita in epoche storiche passate → il dato potrebbe essere non rappresentativo dell’intera popolazione, poiché le informazioni da noi disponibili riguardano solo alcuni settori della popolazione (ceti privilegiati).

Un altro importante problema legato all’applicazione dei metodi statistici alle fonti storiche consiste nel fatto che la conoscenza del passato è sempre una conoscenza parziale, in quanto il più delle volte i dati disponibili fanno parte di un insieme più ampio di dati che è andato perduto e, quindi, i dati spesso non sono idonei ad essere utilizzati come campione, poiché sono prodotti di una selezione casuale di cui, spesso, non si conoscono i criteri della selezione (per la definizione di campione vedi Concetti base di statistica).


Bibliografia e sitografia

  1. C. Iodice, Elementi di statistica, Simone SPA, 2015, p. 7
  2. Voce "statistica" nell’Enciclopedia Treccani, consultata 17 gennaio 2021, https://www.treccani.it/enciclopedia/statistica.
  3. A. Porro, Storia e statistica. Introduzione ai metodi quantitativi per la ricerca storica, Roma, 1989, pp.39-40
  4. Ibidem
  5. Voce «quantitativa, storia» in Dizionario di Storia della Treccani, consultato 17 gennaio 2021, https://www.treccani.it/enciclopedia/storia-quantitativa_(Dizionario-di-Storia).
  6. Ibidem
  7. Voce «cliometria» nell’Enciclopedia Treccani, consultata 16 gennaio 2021, https://www.treccani.it/enciclopedia/cliometria.
  8. Angelo Porro, Storia e statistica. Introduzione ai metodi quantitativi per la ricerca storica, Roma, 1989, p. 19
  9. Voce «cliometria» in “Dizionario di Economia e Finanza” Treccani, consultato 17 gennaio 2021, https://www.treccani.it/enciclopedia/cliometria_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza).
  10. Cfr. W.Kula, Problemi e metodi di storia economica , Milano 1972, p.290
  11. Angelo Porro, Storia e statistica. Introduzione ai metodi quantitativi per la ricerca storica , Roma, 1989, p. 30.



Citazione di questo articolo
Come citare: DI PASQUALE, Celeste . "Statistica". In: CLIOMATICA - Portale di Storia Digitale e ricerca. Disponibile in: http://lhs.unb.br/cliomatica/index.php/Statistica. il giorno: 19/06/2024.






Informare errori in questa pagina